È stata sanzionata la condotta della donna che ha diffuso il numero di cellulare di un’altra persona su una chat privata, invitando gli altri utenti a contattarla per ricevere dalla stessa prestazioni erotiche.
Più nello specifico, la donna si è registrata in una chat erotica, utilizzando un nickname fasullo e inserendo il numero di telefono della vittima, invitando gli utenti della chat a telefonarle per ricevere prestazioni erotiche.
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46376/2019, ha confermato la decisione dei Giudici di merito con cui la donna è stata ritenuta responsabile per la violazione dell’art. 167 c. I D. Lgs. 196/2003 ss.mm. e, per l’effetto, la ha condannata alla pena di nove mesi di reclusione e al pagamento di euro 1700 a titolo di risarcimento in favore della vittima.
Il reato di cui all’art. 167 D.Lgs. n. 196 del 2003, rubricato “trattamento illecito di dati personali”) prima della riforma del 2018 era così formulato:
“1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sè o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli artt. 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’art. 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi.
2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sè o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli artt. 17, 20 e 21, art. 22, commi 8 e 11, artt. 25, 26, 27 e 45, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni”.
Il primo problema affrontato dalla Suprema Corte con la citata sentenza è stato quello di valutare se la condotta posta in essere dall’imputato integrasse o meno la fattispecie di reato così come descritta dalla norma vigente al momento del fatto. La risposta è stata affermativa.
Il secondo problema ha riguardato la novella della disciplina in materia di privacy intervenuta con il D.Lgs. 101/2018 e, più in particolare, la possibilità che oggi, alla luce della nuova normativa, la medesima condotta fosse diventata priva di rilievi penalmente rilevanti. La risposta è stata negativa: la registrazione dell’utenza cellulare di altra persona, senza il suo consenso, su una chat erotica accompagnata dall’invito a contattarla per avere prestazioni sessuali, integrava e integra tutt’ora il reato contestato.
Infatti, la norma di cui all’art. 167 cit. è stata di recente riformata dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101 (art. 15, comma 1, lett. b)) che tuttavia non ha inciso in termini sostanziali sul contenuto della fattispecie.
Ed in particolare, il legislatore, approfittando della possibilità offerta dal GDPR di introdurre, accanto alle sanzioni amministrative, anche sanzioni di natura penale, ha modificato l’art. 167, che al comma 1 contempla la pena della reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi quando la violazione degli artt. 123, 126, 130 e del provvedimento di cui all’art 129 reca un danno all’interessato (non essendo più richiamati gli artt. 17,18 e 23 ormai abrogati).
Dall’analisi di detto nuovo impianto normativo, la Corte di Cassazione è giunta alla seguente conclusione:
premesso che il trattamento di dati personali relativi al traffico telefonico (definito dall’art 121 comma 1 bis D. Lgs. cit.) comprende il numero di cellulare di un soggetto ed è consentito solo ai gestori telefonici autorizzati e nei limiti strettamente necessari allo svolgimento dell’attività correlata, “la condotta di chiunque, soggetto non autorizzato ai sensi dell’art. 125 D. lgs. cit., al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, arreca nocumento all’interessato, mediante trattamento dei dati del traffico, tra i quali rientra il numero dell’utenza cellulare, integra la fattispecie di cui all’art. 167 comma 1 del dlgs n. 196 del 2003, come modificato, fattispecie posta a protezioni delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, obiettivo di protezione declinato nell’art 1 del citato GDPR”.